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IN TEMA DI VIOLENZA

Per mia scelta di vita, ho avuto la possibilità di vivere in tanti Paesi di cultura, lingua, religioni e sistemi di vita profondamente diversi.
L’osservazione attenta e diffusa di quello che io chiamo L’album fotografico dell’umanità mi ha portato ad avanzare delle considerazioni di massima.

IN TEMA DI VIOLENZA

Ho riflettuto innanzitutto sul fatto che l’antropologia definisce “universali culturali” quegli aspetti e quelle manifestazioni della vita quotidiana largamente comuni alle popolazioni ed etnie che occupano questo nostro pianeta: più semplicemente, all’umanità intera. Ogni gruppo umano che condivide aspetti comuni del vivere: luogo, regione geografica, clima, razza, si è preoccupato di individuare ed applicare delle norme che permettano la buona conduzione della società ed anche di concepire delle credenze e di formulare dei rituali che possano contribuire a soddisfare e sublimare quelle grandi incognite che non ha saputo spiegarsi.

Ebbene, la mia considerazione di massima mi ha portato a riflettere sul fatto che uno degli universali culturali che accomuna le genti del nostro pianeta, ma che non viene catalogato come tale, è la violenza, in senso stretto ed etimologico: tutto ciò che vìola, travalica, offende la volontà di un altro essere.

Violenza esercitata in maniera più strisciante ed infìda nella vita di tutti i giorni: in famiglia, tra le amicizie, nella società.

Perché, la violenza, primariamente intesa come atto di aggressione fisica, si genera ed attecchisce germogliando da un seme terribilmente pernicioso: quello della violenza verbale.

Perché la sofferenza non è solo quella che segna il fisico, è anche tutto ciò che provoca volontariamente dispiacere, dolore, angoscia, infelicità. Uno schiaffo potrebbe far meno male di un’offesa.

Dare consigli non costa fatica e siamo tutti capaci di profonderci in sermoni e ramanzine. C’è un aspetto del nostro essere sociale e “civilizzato” che non ci assolve, però, dall’ essere protagonisti, o quanto meno spettatori inerti, di un modo di fare che è ormai radicato nella nostra cultura comportamentale che è quello del turpiloquio endemico e delle aggressioni verbali rese accettabili ed accettate ormai ovunque: nelle scuole, nei rapporti parentali, fino ad uscire dalla censura e dalla condanna in tutte le trasmissioni televisive e nel panorama politico. Se non si vuol poi menzionare quello delle reti, cosiddette sociali, dove pure un timido agnello prende coraggio e dove si insulta anche chi non si conosce, soltanto perché ha un’opinione diversa.

Sarebbe necessario porci una domanda: perché ci stiamo sempre più adeguando ad un sistema comunicativo che non è vincente e che, soprattutto in famiglia, il più delle volte genera tensioni e conflitti?

Nelle relazioni interpersonali è molto più efficace parlare con parole semplici, ma incisive; un atto di gentilezza sorprende più di un’imprecazione; una verità detta con onestà vale più di una squallida menzogna. E se una buona comunicazione è uno slancio da ghepardo per intessere buoni rapporti, non è da meno la capacità di ascolto. Chi sa ascoltare l’altro, può cogliere da sfumature l’essenza di disagi molto più taglienti che si può non essere capaci di estrinsecare.

 CONDIVISIONE

Porgendo un orecchio attento, si può percepire il bisogno di aiuto e, talvolta,  si potrebbe avere la possibilità di aiutare prima che sia troppo tardi.

 

Silva Tenenti

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